martedì 16 settembre 2008

Risposta a R.F.

Discutere le scelte di un'azienda a proposito del proprio organico è lecito ma inutile.

Se il sindacato non tiene conto invece della sua capacità ormai limitata a spingere sulle aziende per ottenere che vengano inseriti in organico colleghi disoccupati, è giusto criticarlo. Le liste di disoccupazione: ecco, anche su quello dovremmo discutere. Quali sono i requisiti di un disoccupato, se ci sono delle scelte discrezionali nell'attribuire lo status di disoccupato, se l'iscrizione alle liste sia utilizzata a beneficio delle aziende o se oggi le aziende anche a quei benefici preferiscono rinunciare e assumere chi preferiscono.

Poi c'è il grande tema della rappresentanza. Il sindacato è in grado di rappresentare i senza lavoro (tra i giornalisti e tra tutti gli altri lavoratori)? Una domanda da un milione di dollari a cui risponde Pietro Ichino in un libro dal titolo eloquente: A che serve il sindacato?.

Se il sindacato si interrogasse, come la sua parte più avvertita sta facendo, sui cambiamenti in senso ultraliberista che hanno portato all'edificazione di totem come la flessibilità e la contrattazione ad personam, forse qualche risposta la si darebbe anche al collega R.F. Allora più che agli slogan (bello: Federazione Nazionale Stipendiati Italiani) penserei alla sostanza delle cose, al contratto che non si rinnova proprio perchè si chiede dimettere argine alla deregulation che ha contraddistinto le assunzioni di giornalisti a giorni, a ore, a minuti, come hanno fatto gli editori negli ultimi quindici-venti anni. Il sindacato, la categoria, attraverso le casse del proprio istituto previdenziale ci ha rimesso in questi anni per combattere su questo fronte. L'idea di delegittimare il sindacato unico mi pare che sia balzana se lo fa un giornalista. Meglio andare al fondo delle questioni, criticare, partecipare e far sentire la propria voce.


le mie fonti:

gli atti del congresso Fnsi 2007 di Castellaneta; il libro di Viviane Forrester, Una strana dittatura, Ponte alle Grazie, 1999; il già citato A cosa serve il sindacato? di Pietro Ichino, Mondadori, Milano, 2005.




ora vi prego di leggere i due commenti seguenti: sono due storie professionali,umane o come volete chiamarle, che nascono diciamo da una delusione e hanno esiti diversi.Il primo è un post di Indonapoletano il secondo è un mio post che riproduce -su sua autorizzazione- una e-mail inviatami da Remo Ferrara, l'autore di più di una lacerante riflessione (che ho avuto già modo di pubblicare) sul mondo del precariato.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Gianni, tu hai ragione, ma il problema dei precari è forte. Io sono stato collaboratore de Il Mattino per anni, ho scritto di nera, giudiziaria, sport. Scrivevo molto, tanto che verso il 20-25 del mese mi bloccavano i pezzi per non farmi guadagnare troppo. Insieme agli altri collaboratori facemmo una serie di riunioni per trovare un fronte comune. Alla fine, solo due colleghi furono assunti. Non che non lo meritassero, anzi, erano due ottime colleghe ed ora sono due ottime redattrici, ma prima e dopo c'erano altri collaboratori storici. Sai meglio di me come Il Mattino e gli altri giornali delle nostre realtà sia fatto soprattutto dagli esterni. Un minimo di riconoscenza in più non sarebbe male. Ciao e grazie,
Nello

gianni.colucci@gmail.com ha detto...

Carissimo Gianni,
ho letto con estrema attenzione la tua risposta alla mia lettera. Ho avuto modo di rimuginarla e digerirla in una lunghissima notte insonne (ben conosci le ragioni…).
Non l’ho assolutamente condivisa, te lo dico con tutta la franchezza che ha sempre contraddistinto i nostri rapporti. Anzi, per certi versi la ritengo addirittura offensiva: non certo nei miei confronti, ma della categoria dei lavoratori in genere e dei giornalisti in particolare.
Discutere le scelte di un’azienda a proposito del proprio organico è “lecito ma inutile”? Ma così, amico mio, metti in dubbio l’essenza stessa del sindacato che porta avanti o dovrebbe portare avanti infinite scelte strategiche lecite ma spesso ex ante o ex post inutili. Gli stessi scioperi potrebbero essere etichettati in questo modo.
Un conto, caro Gianni, è l’inutilità quale risultato finale ed imprevedibile della contrattazione o di una strategia di lotta o di protesta. Altro conto è l’inutilità quale causa preliminare giustificatrice della propria inefficienza, del proprio attendismo, della propria latitanza. La FNSI, caro Gianni, potrebbe anche non sortire gli effetti cui mira nella contrattazione per il rinnovo del CCNL (e sicuramente sarà così almeno su alcuni punti). Non per questo però abbandona il confronto, rinuncia a portare avanti le sue idee. Non per questo le scarta perché “inutili”, tira i remi in barca. Peggio, non si degna di fare alcuna mossa.
Un sindacato a mio avviso dovrebbe guardare anche al significato simbolico di alcune azioni. Guarda il caso-Alitalia, che forse rappresenta l’estremizzazione di questo mio ragionamento: arroccarsi sulla difesa di alcune strategie aziendali e/o privilegi e/o prerogative e/o trattamenti retributivi e/o livelli occupazionali che dir si voglia, non è detto che approderà al risultato voluto e sperato. Di certo però il sindacato s’è schierato in maniera chiara ed evidente al fianco dei lavoratori, indipendentemente dall’esito della trattativa giungendo anzi al punto di compromettere la definizione dell’accordo con la CAI.
I lavori tutto potranno dire un giorno fuorché che il sindacato è stato latitante o sordo.
Ora non voglio ovviamente dire che la FNSI dovrebbe fare altrettanto per i collaboratori, i freelance o i precari in genere. Voglio soltanto rimarcare per l’ennesima volta che il nostro sindacato non è mai (sottolineo mai) andato oltre gli annunci di cartello, i proclami, la vacua e sterile propaganda. Ogni qual volta si è trattato in concreto di intervenire a difesa e sostegno dei precari, non ha mai mosso un dito, non ha mai fatto sentire la sua voce. Ha semplicemente taciuto e ignorato del tutto il problema.
I casi, caro Gianni, sai bene che si sprecherebbero.
Le liste dei disoccupati? Certo, sarebbe una buona base di partenza per la discussione. Bisognerebbe mettere da parte il fatto che l’attuale sistema è nato e si è consolidato grazie alla FNSI, ma forse sarebbe anche giusto giacché piangere sul latte versato serve a poco.
Se davvero la FNSI avesse a cuore la sorte dei precari, forse da subito ne pretenderebbe l’inserimento in queste liste. Da subito pretenderebbe chiarezza su quella dicotomia professionale pubblicisti/professionisti che si è tradotta in una inconcepibile discriminazione per chi in questo lavoro crede davvero. Oggi, caro Gianni, chi prende il tesserino per pavoneggiarsi, chi lo fa a tempo perso perché svolge altre professioni, e chi invece lo consegue come primo step per l’accesso alla professione, sono tutti sulle stesso piano, senza differenza alcuna. Ed a tutti la tua FNSI riserva la stessa attenzione e considerazione: NULLA. Perché altrimenti un occhio lo si presterebbe ai tanti pubblicisti che sono tali solo perché gli editori si guardano bene dallo stipulare contratti di praticantato. A chi (vuoi i nomi?) non ha santi in paradiso e deve rimanere giornalista di serie B, perché il sistema è questo e “o si mangia questa minestra o ci si butta dalla finestra”. È giusto, caro Gianni? È lecito?
Quale causa giustificatrice, tra le tue fonti, rinvieni in una simile strategia sindacale?
Quanto alla rappresentanza, caro Gianni, sono le strategie e l’impegno quotidiano a delinearla e delimitarla, non certo le chiacchiere. Mi documenterò sul parere di Ichino nel suo libro, che ammetto di non conoscere. Mi fa piacere tuttavia se, come scrivi tu, il sindacato “si sta interrogando”. Tuttavia non posso non evidenziare che l’autointerrogatorio si protrae ormai da diversi anni e non credo che oggi la FNSI sia approdata a risposte (o quanto meno ipotesi…) molto diverse di quelle di qualche anno fa. Anzi. Lo dico con certezza perché continua a muoversi allo stesso modo, continua a blaterare ipotesi e strategie non solo non percorribili, ma calpestate nella sostanza e nella quotidianità dallo stesso sindacato…
Ed allora, caro Gianni, forse sarebbe il caso di chiedersi, di più e meglio, perché “l’idea di delegittimare il sindacato unico mi pare che sia balzana”. Se io non ricevo da un sindacato alcuna tutela, se ignora totalmente le mie problematiche, se tollera e favorisce sistemi di accesso alla professione poco chiari e discriminanti che si traducono in discriminazione tra i lavoratori, se ignora del tutto le problematiche e le istanze di centinaia di migliaia di lavoratori, bhé io credo che ci sia più di qualche diritto di discuterne. Più di qualche giustificazione. È avvenuto ovunque, non a caso esistono tendenzialmente tre confederazioni sindacali…Ma ti confesso caro Gianni che non è questo che mi interessa e mi sta a cuore. Quel che credo e ritengo sia giusto è che vi sia una vera, reale, concreta, efficiente rappresentanza sindacale di collaboratori, freelance e precari, dentro (cosa che al momento non c’è) o fuori la FNSI.
Il vero punto preliminare da cui la FNSI dovrebbe partire nella sua analisi e nella sua autoriflessione, caro Gianni, è la profonda spaccatura che il sindacato (e non certo gli editori) ha creato nella categoria. Oggi i problemi dei collaboratori sono loro e loro soltanto. E lo stesso potrebbe dirsi dei collaboratori. Mai un redattore ha spezzato una lancia in favore di un precario, mai un precario ha aderito autonomamente e liberamente ad una iniziativa di sciopero. Siamo due mondi paralleli, creati o tollerati dalla FNSI, che oggi hanno pochissimi punti di contatto.
I “ranghi” insomma andrebbero ricompattati ma con idee, ipotesi prospettive lontane mille miglia da quelle di cui blatera la FNSI, più attenta del resto da sempre al “nocciolo duro della rappresentanza”.
L’assunzione per i precari dopo 30 mesi di cui mi hai scritto (e di cui peraltro non ho trovato traccia nelle strategie operative della FNSI: cfr http://www.fnsi.it/Contenuto/Contratti-New/Homecontratti.html) ben sai che, se anche dovesse essere portato avanti, finirà carta straccia. Molto più logico sarebbe individuare percorsi più percorribili ed interessanti. A scuola insegnano che la soluzione viene sempre da un’attenta analisi del problema, ed è questa fase che è sfuggita alla FNSI. Se le collaborazioni venissero rese un tantino più sconvenienti, dal punto di vista economico, qualcosa forse si otterrebbe. Se i tariffari professionali venissero resi realmente vincolanti, con tanto di sanzioni severissime, pure ci sarebbe qualche risultato. Ma soprattutto se si creassero i presupposti per un accesso alla professione più chiaro, più trasparente, più giusto, più economicamente conveniente, forse pure le acque si smuoverebbero. Un salario di accesso con sgravi contributivi più interessanti e tagli temporanei alla retribuzione anche consistenti, potrebbe essere un’idea non balzana che potrebbe allettare gli editori e schiudere delle opportunità. Magari con ulteriori meccanismi premiali in caso di stabilizzazione dei rapporti.
Non condivido neppure i tuoi strali contro la flessibilità: ritengo si un’ottima cosa se schiude altre opportunità, ma bisogna tenerne a freno gli eccessi e le degenerazioni. Vedo molto meglio un lavoro legale per due ore a giorno, che uno full time sottopagato o totalmente a nero o una precarietà e instabilità decennale.
Ma sono idee e proposte, caro Gianni, che la FNSI non dovrebbe far piovere dall’alto della sua saccenza e della sua presunzione che giammai hanno portato a scelte veramente condivise.
Carissimo Gianni, abbiamo lavorato insieme nella stessa testata per dieci lunghissimi anni. Sai bene che, contrariamente a quanto si dice di me in giro, non sono un “rompiscatole”, un attaccabrighe, un “don Chisciotte”. Anzi, mai come ora mi vedo escluso da tutto quanto ti ho esposto: nel senso che sono ormai sulla soglia dei 40 anni, e cercare un tornaconto personale da questo impegno è non solo folle ma a dir poco tardivo.
Ho avuto ed ho però il coraggio – e la libertà - di guardare ai tantissimi giovani che ancora si avvicinano a questa professione con l’entusiasmo che avevo anch’io un tempo. E guardo a loro quando dico e scrivo queste cose. E penso che per loro – con stagisti e scuole di formazione che sfornano professionisti senza alcuna regolamentazione (non è anche l’ assurda corsia preferenziale a loro riservata, un modo evidente per calpestare, penalizzare ed ignorare i precari di oggi?) – sarà anche peggio. Faccio insomma quello che dovrebbe fare il sindacato. E non fa.
“Andare al fondo delle questioni, criticare, partecipare e far sentire la propria voce”? Io l’ho fatto, caro Gianni. E sai bene com’è andata e com’è finita. Perché ho lottato con la fragilità e la solitudine che in questi anni ha costruito, intorno a me, la Federazione Nazionale Stipendiati Italiani. L’esito della battaglia, insomma, era già scritto.
Con tanta stima e affetto
Remo Ferrara